Quante volte ci è capitato di parlare e percepire di non essere ascoltati, credo sia una sensazione nota a tutti noi. Molto spesso il nostro interlocutore parte da principi apparentemente sani, magari ci vuole aiutare, dare consigli o probabilmente farci partecipi di quell’esperienza che ha vissuto e superato con successo, pensando che possa servirci, come esempio risolutivo alle nostre problematiche.

Ci siamo mai chiesti,da interlocutori, se fosse davvero questo ciò di cui l’altro avevamo bisogno?

Ascoltare è molto di più, o forse molto meno, dipende dai punti di vista. Partiamo dunque da una differenza sostanziale, tra ascoltare e sentire. Possiamo sentire ciò che l’altro ha da comunicare senza per questo ascoltare, mettendo in moto i nostri organi di senso, come l’udito. Quanto detto però può rimanere ad un livello superficiale, mantenendo la nostra interiorità estranea a ciò che l’altro ci sta dicendo. L’ascolto a differenza del sentire è un movimento verso l’interlocutore che inevitabilmente coinvolge la nostra parte interna, la porte più profonda del nostro sé.

Vi sono differenti forme d’ascolto, passivo e attivo, entrambe prevedono l’accettazione della persona sia nel parlato che nel silenzio, l’importante è esserci per l’altro, nel qui e ora. Nell’ascolto passivo, non interrompendo l’interlocutore gli si dà la possibilità di esporre problemi, pensieri e angosce che sino a quel momento aveva elaborato dentro di sé, ma che verbalizzati si alleggeriscono, senza per questo sentirsi obbligati a trovare una soluzione. Riuscire ad esternare aiuta, spesso ci fa cambiare punto di vista e tutto prende un’altra forma. L’ascolto attivo è una tecnica ancora più efficace, poiché possiamo esprimere la nostra accettazione verbalmente, possiamo comunicare ciò che abbiamo compreso, senza né togliere e né aggiungere nulla al racconto dell’altro.

Ascoltare dunque non è cosa facile, ma certamente proficua, sia in ambito amicale che familiare, ma spesso soprattutto in ambito lavorativo. Questa attitudine ci aiuta ad essere in contatto con il prossimo, ma ci permette per prima cosa di essere in contatto con noi stessi. Proviamo dunque ad ascoltare piuttosto che sentire, potremmo scoprire di essere protagonisti di un cambiamento nell’altro, ma soprattutto di vivere un momento di crescita che ci riguarda personalmente.

Oggi è diventato molto complicato ascoltare, in questa società liquida e post-moderna l’idea di fermarsi nel qui e ora è un concetto che sta stretto a tutti. Messaggi, post, foto e video hanno offuscato le nostre menti, creando nell’immaginario collettivo un’idea talmente veloce del tutto che spesso non ci permettere di essere, ma solo di apparire per pochi fugaci secondi. Potremmo definire questa nuova modalità comunicazione, ma siamo certi che lo sia?

Io definirei tutto ciò un investimento relazionale di poco costo, che non ci impegna più di qualche istante. Sarebbe forse il caso di ritornare ad una filosofia di vita che preveda relazioni vere, pregne di significato. Torniamo a rischiare dunque, investendo in comunicazioni più lente, ma sentite.

Il fallimento di una relazione è quasi sempre un fallimento di comunicazione.” (ZygmuntBauman)

Partiamo da questo assunto per arrivare ad una riflessione sull’ascolto, su ciò che siamo disposti a dare all’altro, ma che doniamo soprattutto a noi. Se non ci fermiamo ad ascoltare, presto ci ritroveremo soli, incapaci di prestare attenzione a noi stessi, ai nostri desideri, ci ritroveremo a non avere più un’identità.

 

Autore 

Dott.ssa Micol Lucaselli-Psicologa

 

BIBLIOGRAFIA

R.Carkhuff, l’arte di aiutare, Erickson

Z. Bauman, Vita liquida, Laterza