Il fenomeno dell’Autolesionismo non suicidario (NSSI) in adolescenza rappresenta una crescente preoccupazione per la salute pubblica contemporanea. Nonostante sia spesso un comportamento “covert”, esso esprime un profondo disagio emotivo ed è una strategia disfunzionale per affrontare un dolore psicologico intenso e percepito come intollerabile.
L’Autolesionismo non suicidario (NSSI), definito come il deliberato danneggiamento del proprio corpo senza intento suicidario, mostra una diffusione significativa a livello globale, soprattutto in età adolescenziale.
Si stima che l’NSSI colpisca circa il 19% degli adolescenti nel mondo. L’età di esordio si colloca in genere tra i 12 e i 14 anni, con un picco tra i 13 e i 15 anni. In Italia, ne soffre 1 adolescente su 5.
Sebbene non coincida con un tentativo di suicidio, l’autolesionismo rappresenta un importante fattore di rischio per quest’ultimo. Secondo l’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS), il suicidio è la quarta causa di morte tra gli adolescenti tra i 15 e i 19 anni. Inoltre, il periodo del COVID-19 ha aggravato la situazione, con un incremento dei tassi di prevalenza di NSSI: ad esempio, in uno studio su scuole superiori svedesi, la prevalenza è passata dal 17,7% (2014) al 27,6% (2020-2021). In parallelo, sono aumentate anche le presentazioni ospedaliere per agiti autolesivi.
La forma più comune di autolesionismo è il tagliarsi (cutting), seguita da altre azioni violente sul corpo come bruciarsi, colpirsi, mordersi o interferire con la guarigione di ferite auto-provocate.
Cause e fattori di rischio
L’autolesionismo in adolescenza non è riconducibile a una sola causa, ma sembra derivare dall’interazione di più fattori individuali, familiari e sociali.
In particolare, esso viene spesso utilizzato come meccanismo disfunzionale di regolazione emotiva, un modo per alleviare temporaneamente emozioni percepite come insostenibili (rabbia, tristezza, tensione, vuoto).
Tra i fattori personali si annoverano:
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Quadri psicopatologici: psicosi, disturbo borderline di personalità, DCA, dipendenza da sostanze, disregolazione emotiva (difficoltà a comprendere, accettare e gestire emozioni negative intense). In questi casi l’autolesionismo riduce temporaneamente la tensione interna, diventando un rinforzo che perpetua il ciclo.
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Impulsività: lo scarso autocontrollo e l’instabilità tipici dell’adolescenza, uniti alla difficoltà di regolazione emotiva, espongono maggiormente a tale rischio.
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Problemi di salute mentale concomitanti: depressione, ansia, stress acuto, basso rendimento scolastico.
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Bassa autostima e senso di colpa: sentimenti di indegnità, vergogna, autosvalutazione o auto-sabotaggio.
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Traumi precedenti: abusi (sessuali, fisici o emotivi), negligenza o bullismo (anche cyberbullismo) aumentano significativamente il rischio.
Dinamiche familiari
La famiglia, come ambiente primario di socializzazione, ha un ruolo cruciale: può essere fattore di rischio o di protezione.
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Oggi si parla spesso di una “Nuova Famiglia Affettiva”, caratterizzata da legami iper-nutrienti e simbiotici, comunicazione prevalentemente non verbale e iper-investimento sul corpo in senso estetico e prestazionale. Tutto ciò può ostacolare lo sviluppo dell’autonomia, la tolleranza della frustrazione e il processo di separazione-individuazione tipico dell’adolescenza.
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Al contrario, famiglie segnate da conflitto, scarsa comunicazione o mancanza di coesione possono privare l’adolescente di un supporto emotivo fondamentale.
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Stili genitoriali negativi (simbiosi, controllo eccessivo, svalutazione delle emozioni del figlio/a) rendono difficile lo sviluppo di un’identità autonoma e aumentano la sensazione di incomprensione o solitudine.
Un grido di aiuto
Al di là delle cause specifiche, l’atto autolesivo deve essere interpretato come un grido di aiuto che esprime un dolore profondo e invisibile, soprattutto quando l’adolescente non riesce a comunicarlo verbalmente.
Obiettivi del trattamento
La presa in carico deve essere tempestiva, empatica e non giudicante, coinvolgendo l’intera rete di riferimento (famiglia, pari, scuola).
Gli obiettivi principali sono:
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Regolazione emotiva: aiutare a riconoscere, tollerare e gestire emozioni intense.
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Abilità interpersonali: favorire una comunicazione più aperta e costruttiva con famiglia e pari.
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Miglioramento dell’autostima: sostenere il senso di valore personale.
Il Counseling psicologico ad orientamento cognitivo-comportamentale aiuta a identificare e modificare i pensieri disfunzionali, fornendo strategie alternative all’autolesionismo. È altrettanto importante creare un ambiente familiare supportivo, in cui i genitori imparino a reagire con calma e comprensione.
Strategie pratiche di coping
È utile fornire all’adolescente un vero e proprio “kit di strumenti” alternativi, come:
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tecniche di distrazione (musica ad alto volume, esercizi di respirazione, docce fredde/calde, usare un ice pack, sacco da boxe, stringere un cubetto di ghiaccio);
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contattare un amico fidato o un professionista nei momenti di crisi.
Nei casi più gravi si rende necessario un intervento multidisciplinare, che coinvolga psicologi, psichiatri e figure di supporto educativo e sociale.
Conclusione
L’intervento efficace richiede una comprensione empatica del dolore sottostante e l’impegno a fornire all’adolescente strumenti concreti per affrontare la complessa vita emotiva nell’era moderna.
Psicologa Dott.ssa Sara Agostini