Da che cosa dipende tutto ciò?

In un recente articolo per il New York Times, lo psicologo Adam Grant ha spiegato cosa c’è alla base di questa sensazione di indifferenza che proviamo, racchiudendo perfettamente questo fenomeno di salute mentale nel termine languishing. Le sensazioni che stiamo già provando oggi e che probabilmente ci accompagneranno nei mesi seguenti non sono tristezza e assenza di energie, bensì mancanza di gioia e di scopi. È come, scrive Grant, confondersi tra i giorni, come osservare le nostre vite attraverso un vetro appannato. Non siamo depressi, ma, al tempo stesso, non stiamo funzionando al massimo delle nostre potenzialità. Ciò avviene perché stiamo sperimentando ormai da molti mesi l’assenza di una serie di aspetti positivi: programmazione di obiettivi, raggiungimento di soddisfazioni, socializzazione e interesse per la vita (Keyes, 2002). Il languishing determina difficoltà di concentrazione e spegne la motivazione e, di conseguenza, influenza negativamente il rendimento scolastico e/o lavorativo e le relazioni sociali. Nessuno è immune dal “languire”, tuttavia i soggetti che risultano più competenti nella gestione dello stress sono meno inclini ad esso, in quanto si mostrano più resilienti. Il languishing rappresenta un vuoto penetrante nell’anima, difficile da riempire, il che significa che questo stato di stagnazione è in realtà una forma di sofferenza, anche se non lo riconosciamo molto. Ciò che rende subdolo il languishing è che, per chi lo sta vivendo, è difficile identificarlo: spesso non si riesce a individuare questa forma di sofferenza latente e, quindi, si rimane indifferenti, non chiedendo aiuto. «Languishing è il figlio di mezzo della salute mentale. È a metà tra la depressione e la prosperità. È l’assenza di benesse, non si hanno sintomi di disagi psichici, ma non si è nemmeno il ritratto di una buona salute mentale. Chi soffre di languishing non sta funzionando a pieno regime. Esso offusca la vostra motivazione, interrompe la vostra capacità di concentrazione e triplica le probabilità di ridurre l’efficenza di lavoro. È come se steste guardando la vostra vita da un finestrino appannato. Il languishing spegne le vostre motivazioni e distrugge la vostra voglia di fare». Coniato per la prima volta nel 2002 dal sociologo americano Corey Keyes, si può dire che languishing è sinonimo di «una vita di quieta disperazione». Con le varie restrizioni in atto, la mancanza di contatto sociale e l’obbligo a lavorare da casa, le giornate sembravano fondersi in un ciclo monotono continuo senza eventi di rilievo. L’arrivo del 2021 ha poi portato con sé un po’ di speranza: l’accesso ai vaccini contro il Covid-19 è stata per molti una luce in fondo al tunnel. Tuttavia, allo stesso tempo, ha enfatizzato quei sentimenti di attesa continua, e l’idea di non avere controllo sul proprio presente o su cosa porterà il futuro. Il languishing non è una malattia mentale, ma soffrirne significa non vivere in tranquillità e benessere. Quindi, proprio come un dolore sordo, se lasciato incustodito, può svilupparsi in problemi più seri.

Cosa possiamo fare se siamo preoccupati di poter soffrire di languishing?

Prima di tutto, è importante saperlo riconoscere. A riguardo, secondo gli esperti, ci sono alcuni segnali a cui prestare attenzione. Il languishing, infatti, può manifestarsi in molti modi: ad esempio si può essere più letargici, fare meno esercizio fisico, non essere minimamente interessati alla pianificazione di qualsiasi cosa, anche di eventi positivi come le vacanze. Si preferisce stare lontani dalle persone, si è meno divertenti e più negativi o apatici riguardo alle questioni quotidiane, dalla politica allo sport. Fondamentalmente, è un cambiamento in negativo del proprio normale comportamento. Capita spesso, quando si è tristi per qualcosa, di applicare quella tristezza a tutto. Si amplia il malessere a ogni aspetto della vita, senza guardare solo ciò che fa davvero male. Come si fa a concentrarsi solo sulla vera causa di quel malessere, così da tenere al sicuro altri aspetti che invece funzionano? Le emozioni negative tendono ad offuscare le nostre capacità cognitive accrescendo il malessere: ci fanno vedere la realtà in modo ristretto. Aprire l’obiettivo puntando sulle cose che in quest’anno, nonostante tutto, ci hanno aiutati è fondamentale. Sono quelle che, sulla bilancia, pesano di più in termini di priorità e funzionalità.E proprio ciò che è funzionale a farci stare bene e in equilibrio – anche l’ansia, in certi casi, lo diventa! – che abbatte la sensazione di limbo generata dal languishing, se questo non è la punta dell’iceberg di qualcosa che già covava. In questo caso chiedere aiuto è fondamentale per non acuire il malessere.