Nell’articolo precedente viene argomentato come il dolore ci dia dei feedback molto chiari su cosa ci permette di vivere e cosa può portarci a morire, per questo non è né utile né consigliabile cercare delle tecniche per raggiungere l’analgesia totale. In questo modo infatti, otterremmo solo la nostra estinzione.

Ma Il dolore è sempre utile alla vita e all’equilibrio del nostro organismo? La risposta sembra sorgere spontanea: no, non è sempre così. In alcuni casi il dolore causa esso stesso squilibrio e diventa una patologia.

Il sito del Ministero della Salute definisce in modo chiaro tre tipologie di dolore: acuto, cronico e procedurale.

Il tipo di dolore che verrà prevalentemente considerato in questa sede è quello cronico. Questo tipo di dolore perde la funzione adattiva, in quanto non si tratta più di essere in una condizione di pericolo, ma si genera e autogenera in situazioni in cui, non solo non è utile, ma arreca un disagio importante alla persona, oltre che conduce, esso stesso, allo sviluppo di altre problematiche e patologie.

Non è necessiaria una lesione tissutale, anzi nella maggior parte dei casi il dolore non è connesso ad essa, o perché non vi è stata, o perché è passato molto tempo dal danno.

Ciò che caratterizza invece in modo universale il dolore cronico sono le conseguenze ingenti sulla qualità di vita della persona. Tutte le sfere dell’esistenza vengono danneggiate ed entrano in gioco emozioni negative come paura e angoscia connesse all’esperienza dolorosa. La persona sente di perdere il controllo del proprio organismo, non riesce a comprendere cosa causa il dolore e spesso si blocca, eliminando tutto ciò che potrebbe esserne responsabile. Riduce la socialità, restringe l’alimentazione per paura che un tale alimento o bevanda scatenino l’attacco doloroso, evita situazioni che potrebbero mettere in una condizione di stress l’organismo. Tutto ciò conduce a ridurre l’attività lavorativa o lo studio, con gravi conseguenze sulla soddisfazione personale. Anche per questo l’autostima potrebbe subire gravi contraccolpi nel momento in cui l’individuo si ritrova compromessa ogni sfera della sua vita. Inoltre, in condizioni di dolore cronico prolungate, possono verificarsi insonnia, tendenza all’isolamento, oltre che comorbilità con sintomi ansioso-depressivi (IASP, 2010).

Uno studio di Lachlan A. McWilliams, Brian J. Cox e Murray W. Enns (2003) ha analizzato la comorbilità tra dolore cronico e disturbi psichici diagnosticabili secondo il Diagnostic and Statistical Manual of Mental Disorders del tempo (American Psychiatric Association, 1987), riscontrando una correlazione positiva tra dolore e varie condizioni mediche. L’associazione più significativa è stata riscontrata tra dolore e disturbi dell’umore e d’ansia, in particolar modo con i disturbi di panico e da stress post traumatico.

Tutto questo aiuta a capire come, nell’esperienza di sofferenza e dolore cronico, l’elemento chiave venga giocato dalle emozioni e dalla modulazione dell’esperienza da parte del nostro sistema nervoso centrale, in particolar modo dalla corteccia.

Verrà successivamente analizzata la modalità con cui diverse aree del nostro cervello intervengono nella regolazione della percezione dolorosa.

 

 

 

© Copyright | Dott.ssa Elisa Brembilla

Psicologa, Mindfulness educator, Specializzanda in psicoterapia sistemico-relazionale.