Un fulmine a ciel sereno: l’attacco di panico

 Premessa…

Il panico lo conosciamo tutti, accomuna e riguarda la condizione umana in generale. È una sensazione che si sperimenta sin da quando si è neonati, durante quell’arco temporale che va dalla manifestazione di un proprio bisogno all’arrivo del genitore che finalmente lo soddisfa. È proprio in quell’attesa che si sperimenta il panico, un’angoscia pervasiva che mette in risalto la propria dipendenza da un altro, la propria solitudine, il bisogno di ricevere cure ed attenzioni. Il bambino, attraverso il suo pianto, fa scattare un allarme: c’è qualcosa che non va e di cui ha bisogno. L’adulto che se ne prende cura interpreta il bisogno del bambino (ad es. “piange perché ha fame”) per poterlo appagare. Senza questa interpretazione ed il soddisfacimento che arriva dall’adulto, il bambino resterebbe preda dei segnali del proprio corpo bisognoso, segnali che lui stesso non è ancora in grado di interpretare e comunicare attraverso la parola. Le cure ed attenzioni del genitore sono indispensabili alla stessa sopravvivenza del bambino appena nato. In loro assenza, egli rischia di morire. In tal senso, dunque, si può dire che si fa esperienza, sin dalla nascita, della precarietà che contraddistingue la natura umana.

Pericolo di morte, smarrimento, impotenza ed incapacità di dare un senso a ciò che si sperimenta attraverso il proprio corpo sono proprio le costanti che si ritrovano nell’esperienza dell’attacco di panico.

Così come il bambino al suo pianto trova rassicurazione nelle cure dell’adulto, nel fatto che non lo si abbandona a se stesso e a ciò che avverte come insensato sul proprio corpo, così la persona che soffre di attacchi di panico può trovare nella cura del terapeuta un senso che possa dare significato a ciò che improvvisamente irrompe attraverso manifestazioni corporee angoscianti.

 Cosa si intende per “attacco di panico”?

Tutto va apparentemente bene, una persona conduce tranquillamente la propria vita, fa quello che deve quotidianamente… ma ecco che, senza alcuna possibilità di previsione e controllo, compare il panico.

Può accadere a qualsiasi età e in qualsiasi momento (in macchina, in aereo, durante una discussione in gruppo, giocando, mentre si sta svolgendo il proprio lavoro, in una fila in banca, da soli a casa, di notte in un risveglio improvviso, dopo una cena fuori casa, al termine di una lunga fatica fisica o psichica, ecc.). Il suo esordio potrebbe coincidere con esperienze di cambiamento, sollecitazioni e aspettative provenienti dal mondo esterno a cui non si riesce a far fronte con le proprie risorse, crisi identitarie, adolescenziali, di mezza età, separazioni, abbandoni, momenti di rottura dei legami, improvvisa solitudine, lutti, confusione rispetto a delle scelte da compiere.

L’esperienza dell’attacco di panico condiziona inesorabilmente la propria vita. Può ripetersi innumerevoli volte, restare isolata oppure essere caratterizzata da pochissimi episodi, ma anche solo uno di essi basta ad innescare nella propria mente la domanda: “Cosa mi è successo? Perché improvvisamente il mio corpo ha reagito in un determinato modo?”. In un certo senso, l’attacco di panico semina il dubbio sull’assoluta capacità di controllo che l’essere umano crede di poter avere.

Il panico, in un cero modo, segna il tempo dell’irruzione. Si tratta di un tempo in cui qualcosa, che non può essere elaborato emotivamente, irrompe in maniera insensata ed allarmante. È questo allarme che indica poi la necessità di fermarsi perché qualcosa non va, quasi come se il corpo palpitante, accaldato, nauseato, tremante, sudato, indolenzito, soffocante, lanciasse un messaggio chiaro e forte: “È qui ed ora, è proprio adesso il momento in cui il peggio sta accadendo davvero, non si può aspettare”.

Da queste sensazioni poi origina un’angoscia incontrollabile per la percezione di non sapere cosa stia capitando in quel momento e cosa si possa fare per tornare ad essere padroni del proprio corpo. Si genera, quindi, anche un forte senso di impotenza, si perde la bussola, ci si disorienta. Ed è proprio questa impotenza a far luce sulla propria incapacità a poter gestire tutto quel che accade.

Quello che contraddistingue l’attacco di panico è un alone di pericolo imminente di morte. Nella maggior parte dei casi la persona che l’ha sperimentato riferisce che, ad un certo livello, sa che non morirà, ma, allo stesso tempo, perde la capacità di arginare la paura ed in quel momento crede realmente di morire. Questo fa sì che la persona poi viva successivamente in uno “stato di paura”, si mantiene in uno stato di vigilanza ed ansia anticipatoria, in un’attesa angosciante che prevede il ritorno di quel pericolo. Nell’angoscia di chi soffre di attacchi di panico, c’è sempre il riferimento ad una terribile “prima volta” e gli attacchi di panico successivi si rivelano come crisi di paura che si riattivi l’angoscia di quella “prima volta”. Si finisce così col preferire il restringimento degli orizzonti della libertà anziché affacciarsi all’imprevedibilità del mondo esterno. In molti casi, dopo un attacco di panico, il futuro viene vissuto come estremamente minaccioso e si preferisce restare in attesa che qualcosa accada, prepararsi a tutti gli inconvenienti possibili.. si finisce col vivere nel tempo del rinvio.

Cosa si fa in terapia?

In terapia, dapprima, ci si  focalizza sull’attacco di panico, invitando la persona a descrivere le sensazioni, percezioni o pensieri che l’hanno preceduto e accompagnato. Si inizia così un lavoro di riconoscimento sul modo in cui si verificano i sintomi, le situazioni in cui compaiono e qual’è il ruolo dell’immaginazione all’interno di uno scenario così angosciante e catastrofico. In questo modo, la persona ha modo di rivivere e condividere in seduta la vicenda. Il terapeuta, d’altro canto, analizza ed espone la sequenza di ciò che imbriglia il soggetto all’interno di questa gabbia fatta d’angoscia. Questo tipo di lavoro permette, alla persona in terapia, di prendere atto del proprio contributo al costituirsi dell’attacco di panico e sperimenta il vantaggioso effetto di liberarsene.

Il lavoro terapeutico è orientato all’individuazione, da parte della persona, delle proprie risorse e difficoltà, affinché possa comprendere le ragioni della sua sofferenza, individuarne il senso, e trovare dei modi più adeguati per gestirla e superarla.

Un lavoro su se stessi, che implica fatica e desiderio di mettersi in discussione, offre la possibilità di andare alla radice del problema. La soluzione è comprendere le cause che sono alla base del panico tramite una simbolizzazione degli eventi che le hanno causate.

© Copyright|Psicologa | Psicoterapeuta | Dott.ssa Angela Camelio